Vendita di prodotti con marchio contraffatto: irrilevante la presenza del cartellino ‘made in China’
La presenza di un cartellino cartaceo indicante la provenienza cinese non è idonea ad escludere l’elemento oggettivo del reato di commercio di prodotti con segni falsi

Il cartellino ‘made in China’ non basta ad escludere il reato di vendita di prodotti con marchio contraffatto. Questo il principio fissato dai giudici (sentenza numero 35 del 2 gennaio 2025 della Cassazione), i quali hanno perciò condannato in via definitiva la titolare di un negozio. Decisiva la perquisizione effettuata dalle forze dell’ordine e che ha consentito di porre sotto sequestro oltre mille e cinquecento articoli di pelletteria, recanti marchi presumibilmente contraffatti, e quasi cinquemila cinture destinate anch’esse alla vendita e recanti nomi e segni distintivi nazionali (cioè bandiera italiana o scritta italiana) atti ad indurre in inganno il potenziale compratore sulla reale origine dei prodotti. Indiscutibile, secondo i giudici, l’affidabilità delle valutazioni dei consulenti, i quali hanno riconosciuto la contraffazione con riferimento ad alcuni prodotti. A questo proposito, i magistrati richiamano la prassi consolidata di far visionare alcune immagini fotografiche, rappresentative di campioni di prodotto, a soggetti esperti, e ricordano che sono riconosciute come ammissibili le valutazioni di carattere tecnico espresse da esperti alle dipendenze della parte offesa. Per chiudere il cerchio, infine, i giudici di Cassazione osservano che il segno figurativo utilizzato era in grado di svolgere anche da solo la funzione di marchio, essendo uno specifico segno capace di collegare i prodotti alla nota casa di moda inglese, e ciò anche in assenza dello specifico nominativo. Per maggiore chiarezza, poi, i magistrati ribadiscono un principio fondamentale: per la configurazione del reato di commercio di prodotti con segni falsi è sufficiente anche la riproduzione di un solo marchio registrato, sia esso figurativo o denominativo. Logico, quindi, ritenere irrilevante, ad esempio, l’assenza del logo, come nella vicenda in esame. Ampliando l’orizzonte, poi, un marchio si intende contraffatto quando la confusione con un segno distintivo similare emerga non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata valutazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, con riguardo cioè all’insieme degli elementi salienti, grafici, fonetici o visivi, tenendo, altresì, presente che, ove si tratti di un marchio ‘forte’, sono illegittime anche le variazioni, sia pure rilevanti ed originali. Anche per questo, la presenza di un cartellino cartaceo indicante la provenienza cinese non è idonea ad escludere l’elemento oggettivo del reato di commercio di prodotti con segni falsi, giacché i cartellini non fanno parte del bene, possono esservi apposti o levati in ogni momento e non sono visibili nella successiva circolazione del bene.