Amministrazione di sostegno: il giudice può disattendere la designazione fatta dal soggetto destinato a essere posto sotto tutela
Può, ad esempio, rilevare l’instaurarsi di una relazione di cura che sia indicativa di un rapporto fiduciario più forte rispetto a quello precedentemente espresso nella originaria designazione dell’amministratore di sostegno

Possibile, in materia di amministrazione di sostegno, che il giudice tutelare disattenda la designazione notarile dell’amministratore effettuata direttamente dal soggetto beneficiario. Ciò, però, a patto che sussistano gravi motivi oggettivamente accertati, tra i quali può rilevare l’instaurarsi di una relazione di cura (caregiver) che può essere indicativa di un rapporto fiduciario più forte rispetto a quello precedentemente espresso nell’atto di designazione, unitamente ad altri elementi sopravvenuti che dimostrino la maggiore idoneità del caregiver a realizzare i migliori interessi della persona beneficiaria.
Questo il punto fermo fissato dai giudici (ordinanza numero 15055 del 5 giugno 2025 della Cassazione), i quali hanno perciò respinto le obiezioni sollevate da un avvocato a fronte della decisione con cui un giudice tutelare gli ha negato la nomina ad amministratore di sostegno di una signora, nonostante quest’ultima lo avesse indicato ufficialmente con tanto di atto notarile, e ha preferito affidare l’importante ruolo alla figlia della signora.
Per i giudici d’Appello, la decisione del giudice tutelare è stata assolutamente corretta, sia perché la nomina dell’avvocato risaliva a più di vent’anni prima, sia perché la figlia della signora è la persona che si prende cura della madre sotto tutti i profili di salute, assistenziali e patrimoniali.
Sulla stessa lunghezza d’onda, poi, anche i magistrati di Cassazione, i quali partono da una premessa: colui che è stato designato, con atto notarile, quale futuro amministratore di sostegno non deve allegare elementi per dimostrare la opportunità e la convenienza della nomina, in quanto rileva la volontà della persona – manifestata in un momento in cui è in possesso delle sue facoltà mentali –, volontà che è espressione di autodeterminazione e che va rispettata, sempre che non vi siano gravi motivi per fare diversamente, e, in questa ottica, è il giudice tutelare a dovere indicare quali sono i gravi motivi che inducono a disattendere la nomina.
Applicando questa prospettiva alla vicenda in esame, per i magistrati i motivi per disattendere la designazione dell’avvocato sono lampanti.
In primo luogo, nel lasso di tempo, invero significativo, che è intercorso tra la designazione notarile e il momento in cui è stata aperta la misura di protezione, si è instaurata una relazione di cura tra la beneficiaria e la figlia, che ha assunto la funzione di caregiver. Si tratta di una circostanza che non è irrilevante, perché la presenza di un caregiver può considerarsi indicativa del fatto che si è instaurata tra la persona curata e il soggetto che se ne prende cura una relazione fiduciaria anche più forte di quella precedentemente espressa nell’atto di designazione dell’amministratore di sostegno. Quindi, il giudice ben può ritenere che il caregiver sia, in base alle circostanze concrete, persona più idonea a realizzare i migliori interessi della persona beneficiaria rispetto alla persona designata come amministratore di sostegno, anche in ragione di fatti ed elementi sopravvenuti alla designazione. E, a questo proposito, viene richiamata la documentazione depositata dalla figlia della donna, documentazione da cui si desume che è stata la figlia ad assumere la gestione del patrimonio della madre e che quest’ultima ha rilasciato in favore della figlia una procura ad operare sui suoi conti, mentre, di contro, la donna, prima della apertura della misura, ha revocato l’autorizzazione continuativa su ‘conto titoli’ in precedenza rilasciata all’avvocato, indice, questo, del venir meno del rapporto fiduciario. Inoltre, le funzioni di caregiver ma anche di gestione del patrimonio sono state assunte dalla figlia con il consenso di tutti i parenti. Infine, anche soggetti terzi (come il medico e la badante) hanno dichiarato che è la figlia a curare la madre e che ella riceve visite solo da alcuni parenti e non anche dall’avvocato.