Messaggi a raffica all’ex compagno per ottenere il contributo per i figli: condanna plausibile

La condotta tenuta dalla donna va catalogata come palese molestia ai danni dell’uomo

Messaggi a raffica all’ex compagno per ottenere il contributo per i figli: condanna plausibile

Condannabile per il reato di molestie la donna che bombarda di messaggi l’ex compagno per ottenere il versamento del contributo per i figli. Questa la posizione assunta dai giudici (sentenza numero 44477 del 4 dicembre 2024 della Cassazione), i quali ritengono illogico ridimensionare i fatti e ipotizzare il riconoscimento della non punibilità. A finire nei guai è una donna, mostratasi assillante verso l’ex compagno. Quest’ultimo ha non solo raccontato la vicenda ma ha anche messo sul tavolo i messaggi – scritti e vocali – pervenuti sulla sua utenza telefonica e inviatigli dalla donna, da lui registrati e consegnati alla polizia giudiziaria in sede di denuncia. Per il giudice del Tribunale non vi sono dubbi: la condotta tenuta dalla donna va catalogata come palese molestia ai danni dell’uomo. Inequivocabile il contenuto dei messaggi, motivati da ragioni ulteriori, oltre al mero mancato versamento del contributo paterno per i figli, e, soprattutto, aventi il connotato della petulanza. A sorpresa, però, il giudice del Tribunale opta per l’assoluzione della donna, ritenendo la accertata condotta da lei tenuta non grave, ma, allo stesso tempo, la condanna a versare un adeguato risarcimento in favore dell’uomo, costituitosi parte civile. Per i magistrati di Cassazione, però, è fragilissima la tesi difensiva proposta dalla donna, tesi mirata a negare la sussistenza del requisito della petulanza o del biasimevole motivo, perché, a suo dire, i messaggi non erano offensivi, ma solo diretti a sollecitare all’ex compagno l’adempimento di un dovere. Invece, secondo i giudici di terzo grado, il comportamento della donna è palesemente costituito da petulanza, mentre il biasimevole motivo va individuato nelle frasi fatte pronunciare dal figlio minore. E poi i giudici aggiungono che l’esercizio di un diritto non esclude la contravvenzione se esso avviene con modalità petulanti, cioè con atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nell’altrui sfera di libertà, dal momento che l’elemento soggettivo del reato consiste nella coscienza e volontà della condotta, tenuta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo, senza che possa rilevare l’eventuale convinzione del soggetto di operare per un fine non biasimevole o addirittura per il ritenuto conseguimento, con modalità non legali, della soddisfazione di un proprio diritto. Impossibile, poi, secondo i giudici, escludere il reato solo perché, come sostenuto dalla donna, le molestie erano portate mediante messaggi che il destinatario poteva scegliere di non visionare. Su questo fronte, difatti, bisogna tener presente che il tentativo dell’uomo di impedire la prosecuzione delle molestie da parte della ex, tentativo compiuto bloccando l’utenza della donna, è stato da lei aggirato utilizzando il telefono cellulare in uso ad uno dei figli minori ed anche istigando il ragazzo a inviare egli stesso al padre messaggi vocali molesti e ingiuriosi. Ciò detto, va poi tenuto presente, aggiungono i giudici, che la norma punisce le molestie compiute col mezzo del telefono, utilizzando tutte le funzioni di questo strumento. Difatti, ai fini della configurabilità del reato di molestia, commesso attraverso il mezzo del telefono, ciò che rileva è il carattere invasivo del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, e non la possibilità per quest’ultimo di interrompere o prevenire l’azione perturbatrice, escludendo o bloccando il contatto o l’utenza non gradita, e, perciò, costituisce molestia anche l’invio di messaggi telematici, siano essi di testo (SMS) o messaggi Whatsapp. Confermato, infine, il risarcimento in favore dell’uomo, a fronte del danno morale da lui subito e conseguente alla indebita invasione della sua sfera di libertà. Da escludere, poi, sanciscono i giudici, la non punibilità, poiché la ricostruzione dei fatti dimostra in modo palese che la condotta molesta della donna si è estrinsecata in una pluralità di messaggi, inviati separatamente e in tempi diversi, addirittura da un’altra persona – un figlio –, diversa da lei, e con un diverso telefono.

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